Banca mondiale e PwC hanno stilato il rapporto «Paying taxes 2019» riferito all’anno 2017 e nonostante il primo posto assoluto venga conquistato da Hong Kong, il Medio oriente risulta essere il posto dove il fisco è più amico per chi fa business. Qatar, Emirati Arabi, Bahrain e Kuwait si piazzano nella top 10 delle nazioni fiscalmente più appetibili, con un prelievo medio del 16% sugli utili societari tra tasse e contributi, una compliance semplice e snella nonché appuntamenti alla cassa ridotti all’osso.
Da notare il peggioramento nel ranking dell’Italia, che scivola dal 112° al 118° posto, su un totale di 190 paesi osservati, questo a causa del maggior Ttcr, acronimo di «Total tax & contribution rate», ossia la percentuale di imposte e contributi previdenziali che pesano sui profitti d’impresa. Il Ttcr italiano, in controtendenza rispetto all’andamento su scala globale, è salito di cinque punti percentuali sul 2016, arrivando a toccare il 53,1%, tale incremento è dovuto alla riduzione degli sgravi contributivi per le assunzioni verificatasi lo scorso anno, che hanno fatto inevitabilmente lievitare il costo del lavoro e non hanno avuto, da contraltare, altre misure agevolative in sostituzione. Il taglio dell’Ires al 24% e il super-ammortamento al 140% non sono bastati ad alleggerire il carico statale sui redditi delle imprese, annullando, in questo modo, buona parte degli 8,9 punti percentuali guadagnati dall’Italia nel 2016 rispetto al 2015. Si segnala che tale indicatore non considera gli altri incentivi previsti dal piano governativo Industria 4.0, tra i quali l’iper-ammortamento al 250%, per via della limitata platea di soggetti che ne beneficiano rispetto all’intero panorama delle imprese attive. Come già avvenuto negli anni precedenti, il livello di prelievo complessivo riscontrato in Italia è influenzato negativamente dalla metodologia di calcolo relativa al trattamento di fine rapporto dei dipendenti. Ai sensi della normativa italiana le somme accantonate dai datori di lavoro a titolo di TFR sono equiparate ai contributi previdenziali obbligatori (e quindi incluse nel Ttcr), invece che essere considerate come retribuzione differita. Qualora il dato del Ttcr fosse depurato dalla componente TFR, il primo scenderebbe al 44,5%. Altro dato interessante che emerge dal rapporto «Paying taxes 2019» è l’impatto della tecnologia sulla gestione fiscale delle aziende, la digitalizzazione sta consentendo in molti paesi un rapporto più efficiente e agevole con l’amministrazione finanziaria, infatti dal 2004 al 2017 la media globale delle ore dedicate nel corso dell’anno alla compliance fiscale e contributiva è scesa di ben 84 ore, arrivando alle 237 ore del 2017. Quest’ultimo è forse l’aspetto sul quale il sistema italiano ha i margini di miglioramento  più ampi e realistici al fine di ridurre le 238 ore che attualmente, in media, la compliance tricolore richiede. Sul tema lo studio sottolinea che la fatturazione elettronica obbligatoria nelle operazioni tra privati, al via dal 1° gennaio 2019, potrebbe portare un «importante alleggerimento degli oneri dell’impresa con probabile impatto sui tempi dedicati alla compliance», tuttavia è possibile che, almeno per i primi mesi, l’impatto operativo di questa vera e propria rivoluzione nelle procedure amministrative comporti l’effetto contrario. Sul fronte dei costi di compliance, guardando oltre la media si rintracciano situazioni estremamente diversificate ed opposte, infatti, se negli Emirati Arabi basta appena un’ora al mese per adempiere a tutti gli obblighi (12 ore), in Brasile le imprese ne impiegano oltre 160 volte tanto, ovvero 1.958 ore, pari a circa 245 giornate lavorative di un dipendente. Situazione analoga per quanto concerne il numero dei pagamenti annui fronteggiati dalle imprese, Arabia Saudita e Hong Kong eccellono con appena 3 versamenti, seguiti da Qatar ed Emirati con 4 a testa, mentre l’Italia, con 14 scadenze di pagamento ogni anno, l’Italia si colloca sulla media europea (12) e fa meglio del dato mondiale (24).